SOTTO LE STELLE DEL CINEMA

 

SOTTO LE STELLE DEL CINEMA

Programma estivo per poter vedere e rivedere i film che avete amato insieme a noi .Ogni film avrà una programmazione di due giorni e verrà sempre presentato e se avrete piacere potremmo parlarne in sala dopo visione .

IO NOI E GABER

REGIA DI RICCARDO MILANI

20 E 21 GIUGNO ORE 21,00

Nel ventennale della sua scomparsa, il genio libero di Gaber è pronto a rivivere sul grande schermo, autentico protagonista di un grande evento culturale e musicale nel panorama cinematografico.

Io, noi e Gaber, il docufilm su Giorgio Gaber, scritto e diretto da Riccardo Milani,

Girato tra Milano e Viareggio, nei luoghi della vita di Giorgio Gaber, Io, noi e Gaber è il ritratto più che mai vivo e incisivo del Signor G., al centro di una delle pagine più preziose della storia culturale del nostro paese. Un viaggio esclusivo che attraversa tutte le fasi della sua carriera artistica: dai primissimi esordi nei locali di Milano al rock con Adriano Celentano, dal sodalizio artistico e surreale con l’amico Jannacci agli iconici duetti con Mina e alle canzoni con Maria Monti. Dagli anni della popolarità televisiva al teatro, con l’invenzione, insieme a Sandro Luporini, del Teatro Canzone, piena espressione del suo impegno politico e culturale. Sullo sfondo, come locus amoenus che tutto muove e in cui tutto converge, si staglia il Teatro Lirico di Milano, simbolo del vicendevole amore tra Gaber e il pubblico milanese, e che oggi porta il suo nome Teatro Lirico Giorgio Gaber.

Attraverso la voce di familiari e amici, Riccardo Milani traccia un ritratto intimo e appassionato di Gaber, che include ad un tempo la sua storia personale – attraverso le parole della figlia Dalia e delle persone storicamente a lui più vicine – e una sinfonia di voci di colleghi e artisti che lo hanno vissuto e amato. Il docufilm vede la partecipazione speciale di Gianfranco Aiolfi, Massimo Bernardini, Pier Luigi Bersani, Claudio Bisio, Mario Capanna, Francesco Centorame, Lorenzo Jovanotti Cherubini, Ombretta Colli, Paolo Dal Bon, Fabio Fazio, Ivano Fossati, Dalia Gaberscik, Ricky Gianco, Gino e Michele, Guido Harari, Paolo Jannacci, Lorenzo Luporini, Roberto Luporini, Sandro Luporini, Mercedes Martini, Vincenzo Mollica, Gianni Morandi, Massimiliano Pani, Giulio Rapetti – Mogol, Michele Serra. 

“Giorgio Gaber è stato una persona importante della mia vita. Da piccolo mi ha divertito con l’allegria di Goganga, Il Riccardo o La Torpedo blu, e dal liceo in poi mi ha fatto alzare la testa e avere uno sguardo sul mondo segnando il mio percorso di formazione. Raccontarlo per me è stato soprattutto un modo per ringraziarlo per tutto quello che nei decenni mi ha dato e, soprattutto, ha dato a tutti noi” – dichiara il regista Riccardo Milani – “è stata una voce importante per tutti noi anticipando tutto quello che in questi decenni si è avverato, prevedendo che l’ideologia del mercato avrebbe schiacciato oggi tutte le altre, segnando una disperata continuità tra lui e Pier Paolo Pasolini. Per questo, tra le rarissime certezze della vita, ce n’è sicuramente una: Gaber ci serve ancora e ci serve adesso”.

Io, noi e Gaber restituisce al pubblico la personalità ancora oggi viva e attuale del Signor G, tra aspetti inediti e racconti sorprendenti. Un “fatto cinematografico” che accende i riflettori sull’importanza della musica, del pensiero e delle indimenticabili parole di uno degli artisti e intellettuali più importanti del nostro secolo.

C’E ANCORA DOMANI

REGIA DI PAOLA CORTELLESI

22 E 23 GIUGNO ORE 21,00

Delia (Paola Cortellesi) è la moglie di Ivano, la madre di tre figli.
Moglie, madre. Questi sono i ruoli che la definiscono e questo le basta. Siamo nella seconda metà degli anni 40 e questa famiglia qualunque vive in una Roma divisa tra la spinta positiva della liberazione e le miserie della guerra da poco alle spalle.
Ivano (Valerio Mastandrea) è capo supremo e padrone della famiglia, lavora duro per portare i pochi soldi a casa e non perde occasione di sottolinearlo, a volte con toni sprezzanti, altre, direttamente con la cinghia.
Ha rispetto solo per quella canaglia di suo padre, il Sor Ottorino (Giorgio Colangeli), un vecchio livoroso e dispotico di cui Delia è a tutti gli effetti la badante. L’unico sollievo di Delia è l’amica Marisa (Emanuela Fanelli), con cui condivide momenti di leggerezza e qualche intima confidenza.
È primavera e tutta la famiglia è in fermento per l’imminente fidanzamento dell’amata primogenita Marcella (Romana Maggiora Vergano), che, dal canto suo, spera solo di sposarsi in fretta con un bravo ragazzo di ceto borghese, Giulio (Francesco Centorame), e liberarsi finalmente di quella famiglia imbarazzante.
Anche Delia non chiede altro, accetta la vita che le è toccata e un buon matrimonio per la figlia è tutto ciò a cui aspiri. L’arrivo di una lettera misteriosa però, le accenderà il coraggio per rovesciare i piani prestabiliti e immaginare un futuro migliore, non solo per lei.

 

IO CAPITANO

REGIA DI MATTEO GARRONE

25 E 26 GIUGNO ORE 21,00

Io Capitano racconta il viaggio avventuroso di Seydou e Moussa, due giovani che lasciano Dakar per raggiungere l’Europa. Un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare.

Commento del regista

Io Capitano nasce dall’idea di raccontare il viaggio epico di due giovani migranti senegalesi che attraversano l’Africa, con tutti i suoi pericoli, per inseguire un sogno chiamato Europa. Per realizzare il film siamo partiti dalle testimonianze vere di chi ha vissuto questo inferno e abbiamo deciso di mettere la macchina da presa dalla loro angolazione per raccontare questa odissea contemporanea dal loro punto di vista, in una sorta di controcampo rispetto alle immagini che siamo abituati a vedere dalla nostra angolazione occidentale, nel tentativo di dar voce, finalmente, a chi di solito non ce l’ha.

COCORICO TAPES

FRANCESCO TAVELLA

27 E 28 GIUGNO ORE 21,00

Gli anni ’90 sono iniziati con la caduta del muro di Berlino e si sono conclusi con gli attentati dell’11 settembre. Anni di creatività e distruzione, in cui tutto sembrava possibile e allo stesso tempo prossimo al collasso. Erano anche gli anni d’oro del turismo italiano: la costa adriatica era la meta di una generazione che rispondeva al richiamo della musica dance. E lì apparve l’iconica discoteca a forma di piramide chiamata Cocoricò. Il Cocoricò non era solo una discoteca, era un tempio del divertimento, un teatro di espressioni artistiche, politiche e sociali: un luogo che accoglieva le emozioni e le angosce dei tempi passati e presenti. Cocoricò Tapes è la sua storia raccontata attraverso i filmati inediti di quegli anni e attraverso le parole – di oggi e di allora – dell’ex direttore artistico Loris Riccardi, del suo staff e di coloro che ogni settimana frequentavano il locale in un rito collettivo.

PALAZZINA LAF

MICHELE RIONDINO

29 E 30 GIUGNO ORE 21,00

L’attore tarantino esordisce come regista con un film scomodo, ma evidentemente molto sentito, essendo egli stesso nato a Taranto nel 1979. La vicenda è tratta dal libro Fumo sulla città di Alessandro Leogrande, scrittore e giornalista scomparso nel 2017, a cui la pellicola è dedicata. Una scommessa rischiosa, quella del regista e interprete principale: una storia sulla fabbrica, nello specifico su una delle pagine più vigliacche di mobbing degli ultimi trent’anni, sconosciuta ai più. Eppure il risultato è ottimo, in primis per la sua interpretazione e per il personaggio di Caterino: un uomo povero, in primis di strumenti culturali, che non capisce la manipolazione che sta subendo e le angherie a cui sono sottoposti i colleghi.

C’è una dimensione di grottesco, a tratti di onirico, che rende bene (anche se si può solo immaginare) l’infernale contesto della Palazzina Laf: non è un caso che tanti abbiamo citato Elio Petri e il suo La classe operaia va in paradiso. A far da contorno, il sempre bravissimo Elio Germano (qui davvero di luciferina ambiguità), ma vanno citati anche Greta Scarano e Paolo Pierbon, oltre alle musiche di Teho Teardo e la canzone finale di Diodato.

Se ne esce indignati e disturbati, ma Palazzina Laf era un film necessario da realizzare. Per riflettere ancora una volta, purtroppo nell’Italia del 2023, sulla condizione operaia, sui maltrattamenti e le discriminazioni sul posto di lavoro, ma più in generale su un sistema produttivo che continua a trattare le persone come numeri e oggetti. A volte, ed è stato evidente nel caso dell’Ilva di Taranto, anche ignorando tutte le conseguenze (fin mortali) della mancata sicurezza in fabbrica e dei risvolti sulla salute di un intero territorio martoriato e mortifero.  

Il film si è aggiudicato tre David di Donatello 2024. Michele Riondino come miglior attore protagonista e Antonio Diodato per la miglior canzone originale: entrambi tarantini, hanno dedicaro il premio alla città. Premiato con il David anche Elio Germano, come attore non protagonista.

VIAGGIO IN GIAPPONE

ELISE GIRARD

2 E 3 LUGLIO ORE 21,00

Se ogni film di fantasmi è anche un film sul cinema, allora è a questa categoria che appartiene di diritto Viaggio in Giappone di Élise Girard. E del resto, lo dice anche uno dei due protagonisti, il Giappone è terra di fantasmi. Ogni vivente ha il suo. Quello di Sidonie, la scrittrice francese al centro del viaggio interpretata con inedita leggerezza da Isabelle Huppert, è il marito defunto Antoine (August Diehl). Da quando, malvolentieri, si è catapultata dall’altra parte del mondo per presentare una riedizione del suo fortunato romanzo d’esordio, eloquentemente intitolato L’ombre portèe, lo spettro dell’amato consorte la segue ovunque. E non è l’uomo immaginario di Morin, ma una magnifica presenza reale: eppure senza consistenza. Un’ombra insomma. O, per dirla metalinguisticamente, un’immagine.
Di Morin, altro francese, il film eredita semmai il complesso della mummia. La fluorescenza di una vita che non c’è più ibernata dentro la capsula dell’immagine. La memoria non come residuo ma come realtà. E, nello stesso tempo, lo scioglimento del legame con il dolore, la liberazione dal trauma, la fine dell’ossessione per il tempo imperituro nella scoperta che l’eternità è un giorno. E quel giorno è l’amore (congelato in una successione di istantanee nel finale alla Marker).

L’arte non sarà una terapia come dichiara alla stampa Sidonie ma certo aiuta E allora il viaggio, movimento tra stati e passaggio di stato, ballo gentile tra viventi e defunti, nella balera dell’invisibile, per accettare la presenza dei secondi e scegliere ancora e comunque i primi. E il Giappone per l’occidentale, in questa fortunata stagione di riscoperta cinematografica, non è più lost in translation ma risveglio: transito ideale per rimettere in comunicazione – come una finestra finalmente spalancata – il dentro e il fuori. Ritroviamo gli aironi di Miyazaki e anche i cervi di Nara, fauna e simbolo di quella soglia che lega e separa, sempre. Come soglia è il personaggio dell’editore giapponese, di colui cioè che porta l’anima di Sidonie da un luogo a un altro che l’accrescerà. Kenzo Mizoguchi (perfetto Tsuyoshi Ihara) che non è parente del grande regista – i Mizoguchi in Giappone sono un cognome abbastanza diffuso, scoprirà Sidonie – ma ne porta comunque il testamento spirituale.
Sarà lui a permettere finalmente alla donna di riapprodare – interiormente e fisicamente – da qualche parte. E Kenzo non è il doppio ma è l’altro che gli somiglia. C’è una battuta rivelatrice del film, quando dopo aver salpato per fare tappa su una località marittima fuori Kyoto (dove perlopiù il film è ambientato), Sidonie dice a Kenzo “Sembra Capri”, e l’uomo caustico obietta: “Noi giapponesi siamo sempre stati campioni dell’imitazione”. L’ironia difatti è nei confronti della donna, che non riesce ancora a liberarsi del tutto del proprio immaginario. Del resto, lo dice lei stesso a metà del viaggio: qui riconosco le stesse cose ma non so come si usano.

L’apprendistato non richiederà chissà quali prove. L’itinerario di viaggio e quello del film coincidono anche nel mood, sempre placido, leggero, rasserenato. All’orientale. Volendo trovargli un difetto: fin troppo compassato. O per usare una metafora letteraria, ipostatizzato. Si avverte il pensiero dietro il gesto, l’intenzione di andare esattamente dove si vuole andare. La riedizione del libro che coincide di fatto con la trasposizione filmica. Il Giappone che spiazza e disorienta la protagonista ma che in effetti è molto riconoscibile per il pubblico occidentale. Pure l’accompagnamento pianistico è misto di Bach e Sakamoto che smorza le differenze. Fin quasi a farle sparire. Non è l’intenzione che si giudica ma l’effetto che fa.

CENTO DOMENICHE

ANTONIO ALBANESE

4 E 5 LUGLIO ORE 21,00

Antonio Albanese torna dopo cinque anni dietro la macchina da presa e racconta con sensibilità una storia universale, che ha riguardato migliaia di piccoli risparmiatori, traditi dall’avidità e dai crack bancari.

Antonio, ex operaio di un cantiere nautico, conduce una vita mite e tranquilla: gioca a bocce con gli amici, si prende cura della madre anziana, ha una ex moglie con cui è in ottimi rapporti ed Emilia, la sua unica e amatissima figlia. Quando Emilia un giorno gli annuncia che ha deciso di sposarsi, Antonio è colmo di gioia, può finalmente coronare il suo sogno regalandole il ricevimento che insieme hanno sempre sognato potendo contare sui risparmi di una vita.
La banca di cui è da sempre cliente sembra però nascondere qualcosa, i dipendenti sono all’improvviso sfuggenti e il direttore cambia inspiegabilmente di continuo. L’impresa di pagare il matrimonio di sua figlia si rivelerà sempre più ardua e Antonio scoprirà, suo malgrado, che chi custodisce i nostri tesori non sempre custodisce anche i nostri sogni.

L’INCANTEVOLE BORGIA

REGIA DI MARCO MELLUSO E DIEGO SCHIAVO

6 E 7 LUGLIO ORE 21.00

Durante lo speakeraggio di un documentario dai toni scandalistici, Lucrezia Lante della Rovere esce magicamente dallo schermo, si ribella e coinvolge Voce, lo speaker interpretato dal brillante Tullio Solenghi, e il giovane tecnico del suono, il talentuoso Tobia de Angelis, in un viaggio alla riscoperta della vera vita di un’eroina del suo tempo: Lucrezia Borgia. Accompagnata da un buffo e dorato assistente interpretato dal poliedrico Francesco Zecca, Lucrezia Lante si muove tra Ferrara e i territori del ducato estense, compresa la nostra Pesaro. raccontando la storia di Lucrezia Borgia d’Este come se fosse – e forse lo è stata davvero! – la più grande e appassionante telenovela del Rinascimento.

MISERICORDIA

REGIA DI EMMA DANTE

9 E 10 LUGLIO

Il film Misericordia è tratto dall’omonima opera teatrale di Emma Dante e racconta le vicissitudini di Contrada Tuono, un borgo marinaro di casupole in pietra grezza, occupato abusivamente da alcune famiglie e individui ai margini della società. Tra questi c’è Arturo, ormai diciotenne e figlio della miseria e della violenza. La madre muore dandolo alla luce e da allora se ne prendono cura Betta, Nuccia e la giovane Anna, prostitute come lo era sua madre.

Ma Arturo è diverso dagli altri in modo particolare, in alcuni momenti sembra un bambino, in altri vecchissimo. È nato difettoso, si muove in modo strambo, partecipa al mondo con un animo diverso. Guarda alle persone intorno a sé come alla montagna che scala: senza paura. È un invisibile fra gli invisibili e deve combattere, come tutti a Contrada Tuono, per la sopravvivenza, ma il suo sguardo puro e diverso porta con sé la speranza.

Le riprese del film sono avvenute tra Palermo e Trapani. Nella provincia di Trapani è stato ricostruito il borgo marinaro di Contrada Tuono, in particolare nella Riserva Naturale di Monte Cofano, uno scrigno di forte interesse naturalistico situato tra tra San Vito Lo Capo e Trapani. Alcune scene sono state girate anche presso Punta Tipa e tra la spiaggia di San Giuliano e il lungomare Dante Alighieri, in località Casa Santa

ROMEO E’ GIULIETTA

REGIA DI GIOVANNI VERONESI

11 E 12 LUGLIO

Romeo è Giulietta, film diretto da Giovanni Veronesi, racconta la storia di Vittoria, una giovane attrice che nel corso di un provino viene fortemente umiliata da un noto regista molto cinico. Il ruolo per cui la ragazza si era presentata è quello di Giulietta, ma Vittoria non demorde e decide di ritentate il casting con una falsa identità. Per mostrare al burbero regista il suo talento, la giovane si presenta sotto le mentite spoglie di Fabio, esibendosi nella parte di Romeo.
Vittoria fa colpo e viene scelta per interpretare il protagonista maschile dell’opera shakespeariana, ma non rivela la sua vera identità femminile. Da questo momento in poi è Fabio. Per la talentuosa attrice non si rivela poi così complicato vestire i panni di Romeo sia sul palco che dietro le quinte. Il problema sorge quando viene scelto per interpretare Mercuzio proprio il suo fidanzato. Vittoria si ritroverà a dover nascondere la sua identità anche a lui, riuscirà con il suo talento a non farsi smascherare?
Inoltre, mentre indossa gli abiti di Romeo, l’attrice scoprirà molto su sé stessa e su chi ha intorno.

Dopo aver diretto un dittico ispirato al romanzo I tre moschettieri, con Romeo è Giulietta il regista Giovanni Veronesi torna a raccontare una storia romantica. Come si capisce dal titolo, l’opera – distribuita da Vision Distribution – prende ispirazione dalla celebre tragedia shakespeariana di Romeo e Giulietta, rielaborata in modo del tutto originale dal regista e ambientata nella Roma dei giorni nostri. La protagonista è interpretata da Pilar Fogliati, la quale ha già collaborato con Veronesi per stendere la sceneggiatura di Romantiche (2023), suo film d’esordio come regista. Il cast include nomi importanti del cinema italiano, come Sergio Castellitto e Geppi Cucciari, rispettivamente alla loro terza e seconda esperienza con Veronesi. Nel film riveste anche una piccola parte Margherita Buy.

LA CHIMERA

REGIA DI ALICE ROHRWACHER

13 E 14 LUGLIO ORE 21.00

Sia detto senza retorica, alla fine della visione di La chimera si prova un sentimento di gratitudine per Alice Rohrwacher e per il film con cui chiude la trilogia dedicata alla memoria, perché è un’opera di denuncia, ma anche di pace. Un intenso e radicale viaggio interiore, ma con l’immediatezza, la semplicità e la verità di un filmato di famiglia. E riesce, dopo tanti film diretti da uomini con al centro notevoli personaggi femminili, a regalarci uno dei più bei personaggi maschili degli ultimi anni. Soprattutto uno dei più originali e imprevedibili. E utopici, in qualche modo.

Arthur (Josh O’Connor) è un ragazzo che parla inglese e forse è britannico, o irlandese. Si resta volutamente nell’incertezza. È comunemente chiamato “lo straniero”. Parola usata in maniera diffusa per definire chiunque non sia del posto, ma utile anche a sottolineare la sua dimensione “altra”, di estraneo anche se partecipe, in parte alieno. Scorbutico, dagli scatti d’ira improvvisi, dolce e osservatore, a tratti filosofo, sorta di Orfeo alla ricerca di Euridice – L’Orfeo di Monteverdi scandisce i capitoli del film – sembra mosso da un oscuro abitatore interno che lo porta alla ricerca di qualcosa, da un insopprimibile languore amoroso per un ricordo di una purezza vera e delicata, da una nostalgia pervasiva, insopprimibile: quasi un’arcaica, antica e dolce tristezza, che è allo stesso tempo una consapevolezza sulla verità delle cose.

Certo, poi ci sono gli aspetti pratici, di vita concreti, non indifferenti, che pesano sul suo comportamento, come il fatto che, abbandonato dalla sua banda di tombaroli, ha passato un periodo in carcere. Ora è tornato, un ritorno sui luoghi che non sono i suoi luoghi d’origine eppure, forse, lo sono sempre stati. Notevole il longilineo O’Connor, alto due metri: incarna un eroe magro, quasi disincarnato, che mangia poco, e si cambia poco, come se, al di là delle apparenze, e a differenza degli altri, fosse in verità estraneo alle cose terrene. Come se fosse già altrove, e in qualche modo conoscesse la sua destinazione ultima. Un po’ tra i due mondi, e tra i mondi in generale. Sempre sulla soglia, forse addirittura anche sulla soglia di una sorta di al di là. Sempre tra il concreto e l’etereo. Il suo aspetto fisico lo trasmette: potrebbe essere un ragazzo delle periferie inglesi, ma i suoi tratti, il suo modo d’essere, potrebbero essere anche quelli di un giovane partenopeo. Il film è la limpida rivelazione di un notevole volto, così come di un interprete che lascia il segno.

Arthur e la sua banda di tombaroli – che rispetto a lui sono inconsapevoli, ma a loro modo autentici – vivono rubando oggetti antichi dalle tombe, aggirando i carabinieri, e rivendendoli sul mercato ufficiale dell’arte, ai collezionisti privati ma anche a funzionari del circuito museale. Arthur si rifugia spesso nella grande e decadente casa di Flora (Isabella Rossellini). Flora è la madre di Beniamina, la ragazza che morendo ha spezzato il cuore del protagonista, e che è la chimera principale del film, filo d’Arianna che tiene tutto, fin dal prologo. Nel tesserlo, la regista compie un’esplorazione del mondo attraverso l’ibridazione d’immagini dal registro eterogeneo, anche opposto, e tuttavia in grado di amalgamare tutto con sapienza.

Bellissimo questo film di poesia, sensoriale, avvolgente, che fa sentire gli odori della natura, il verde intenso come se fosse muschio sulla roccia, l’umidità della terra, scorci di villaggio, baraccopoli arcaiche, bellissime stazioni ferroviarie abbandonate. E lo fa ibridando e poi unendo i formati, il 35 millimetri, il super 16 millimetri e il 16 millimetri: tutto è realtà, tutto è cinema, l’estetica naturalistica così come il video amatoriale, o la fotografia che si fa pastello, pittura, affresco.

ANATOMIA DI UNA CADUTA

REGIA DI JUSTINE TRIET

  • 17 LUGLIO ORE 21,00

La scrittrice tedesca Sandra Voyter sta rilasciando un’intervista nello chalet sulle montagne vicine a Grenoble dove vive insieme al marito Samuel Maleski e al loro figlio non vedente Daniel. La conversazione fra lei e la giovane giornalista divaga, ed è infine interrotta dalla musica a tutto volume suonata da Samuel. Qualche ora dopo Samuel viene trovato morto sul selciato innevato davanti allo chalet: si è gettato o è stato ucciso? Sarà questo il dilemma da risolvere attraverso un’indagine minuziosa e un processo complicato e seguitissimo dai media. Ad assistere Sandra, principale indagata, è l’avvocato Vincent Renzi, suo amico di lunga data, e ciò che emergerà dalle indagini, prima ancora che un verdetto, è il problematico rapporto coniugale fra Sandra e Samuel, che ha trovato il punto di rottura nell’incidente all’origine della cecità di Daniel.

Oscar 2024 a Justine Triet e Arthur Harari per miglior sceneggiatura originale;

Golden Globe 2024 per miglior film straniero;

David di Donatello 2024 per miglior film internazionale;

Festival di Cannes 2023, Palma d’oro;

Festival di Cannes 2023, Dog Palm al Border Collie Messi nel ruolo di Snoop;

César 2024 a miglior film; a Justine Triet per miglior regia; a Sandra Hüller per miglior attrice; a Swann Arlaud per miglior attore non protagonista; a Justine Triet e Arthur Harari per miglior sceneggiatura originale; a Laurent Sénéchal per miglior montaggio;

European Film Awards 2023 per miglior film; a Justine Triet per miglior regista; a Sandra Hüller per miglior attrice; a Justine Triet e Arthur Harari per miglior sceneggiatura; a Laurent Sénéchal per miglior montaggio; European University Film Award;

National Board of Review Awards 2023 per miglior film straniero.

Anatomia di una caduta è una grande metafora sulle disuguaglianze di genere camuffata da legal drama. La scelta di raccontare la relazione dei due protagonisti attraverso la macchina giudiziaria serve alla regista per filtrarla grazie ad uno sguardo esterno. Uno sguardo, quello legale, che dovrebbe essere il più vicino possibile alla verità dei fatti ma, come ci mostra il film, è costantemente vittima di interferenze dettate da condizionamenti mentali sedimentati nel corso di secoli.
Justine Triet ci racconta la caduta di una coppia. Ma forse più di tutto ci racconta la caduta dell’uomo dal gradino più alto del podio della società. Senza più punti di riferimento, appigli, sicurezze. Quel corpo a terra diventa il simbolo di un cambiamento in atto, faticoso e pieno di pericoli, per poter dare vita a una vera democratizzazione di genere. Non solo nella coppia ma in ogni ambito, privato e professionale.”

LA ZONA D’INTERESSE

REGIA DI JONATHAN GLAZER

 

18E 19 LUGLIO ORE 21,00

A volte basta un luogo per fare un film. Jonathan Glazer parte proprio da questa idea per adattare La zona di interesse dal romanzo di Martin Amis.

Rudolf Höss, direttore del campo di concentramento di Auschwitz, vive con moglie e figli in una splendida tenuta. Le giornate passano all’insegna dell’ordinario: si rilassano sull’erba, accolgono i suoceri mostrando i fiori coltivati in giardino, discutono per via degli impegni lavorativi del marito. Un giorno il padre porta i figli a pescare. Qui l’idillio si spezza ed escono in fretta dall’acqua. Dal campo di concentramento infatti stanno sversando ceneri e ossa nel fiume. La villa della famiglia Höss si trova a un muro di distanza dalle ciminiere del lager. Un paradiso artificiale, vicino all’inferno.

La potenza di La zona di interesse non è nella sua storia, fin troppo astratta e simbolica sul finale, ma nel modo in cui la racconta. I primi minuti sono di buio. Sono una dichiarazione poetica: il film non va valutato su quello che si vede, ma proprio su ciò che non mostra (l’orrore che si svolge accanto). Sono le orecchie, ad ascoltare in lontananza i suoni delle fucilazioni e le grida di chi tenta la fuga, a raccontare quello che viene celato dalla cinepresa.

Si è dibattuto molto, in sede critica, su come il film dimostri la banalità del male. Forse il punto è un altro però: anche chi compie il male assoluto possiede quel desiderio di pace e di normalità di cui priva le altre persone.

Glazer dirige un film sull’Olocausto, ma chi entra in sala immaginandosi di assistere a una riflessione limitata al periodo della guerra si perderebbe molto. Tra gli enigmi del finale e un andamento riflessivo e angosciante, La zona di interesse si propone come un’esperienza di visione. O meglio, di non visione. Ci pone, da spettatori, nella condizione di voltare costantemente gli occhi dall’altra parte. Lo sguardo stesso del film non ha il coraggio di superare quel muro. Così ci rendiamo conto che far finta di niente, vivere la propria vita come se niente fosse, ignorando le tragedie o addirittura sostenendole, è un atto profondamente disumano. Ieri, come oggi. È la quotidianità del male.

I LIMONI D’INVERNO

REGIA DI CATERINA CARONE

20 E 21 LUGLIO ORE 21,00

Grazie alla vicinanza dei rispettivi terrazzi, due sconosciuti alle prese con la propria attività di giardinaggio incominciano a intessere un dialogo profondo, che li aiuta ad alleviare il dolore per qualcosa di grave, un segreto, che ognuno dei due cerca di nascondere a se stesso e a chi gli sta vicino. In quella sorta di limbo sospeso tra la terra e il cielo, lontano dalla velocità della città, Pietro ed Eleonora si insegnano a vicenda a seguire il proprio cuore, a credere ancora nella “possibilità di essere felici”, prima che le loro strade si separino di nuovo.

NOTE DI REGIA:
Ho incontrato questa storia un po’ per caso. L’ho incontrata come capita con le persone più importanti della nostra vita, quando incroci lo sguardo di qualcuno e riconosci, nel profondo dei suoi occhi, qualcosa che parla di te e delle persone che illuminano la tua esistenza. Ho sentito, nella storia di Pietro (Christian De Sica) e di Eleonora (Teresa Saponangelo), risuonare questa melodia universale e misteriosa. Ho sentito emozioni autentiche, la fragilità dello stare al mondo di ogni essere umano. Noi e gli altri, in un gioco continuo di specchi, sfumature e colori – gli infiniti colori dell’esserci, qui, ora. Mi sono misurata con l’asprezza di un film drammatico, con fatti dolorosi e reali, per confrontarmi con una drammaturgia che impone rigore, essenzialità e sguardo amorevole, cercando l’empatia verso gli altri e quella ancora più difficile con noi stessi, con i nostri limiti e paure. Il film ha anche toni dolci e gioiosi, perché la vita non è mai mono-tono, ma una stratificazione continua di lacrime e sorrisi.
Vorrei che i protagonisti di questa storia, i loro occhi, il loro cuore, possano vivere in tutte le persone che li incontreranno, così come vivono in me e negli attori che li hanno interpretati.

STRANIZZA D’AMMURI

REGIA DI GIUSEPPE FIORELLO

23 E 24 LUGLIO ORE 21,00

Stranizza d’amuri è un film liberamente ispirato a un fatto di cronaca nera accaduto in Sicilia all’inizio degli anni ’80. Gianni è un ragazzino di 17 anni che non ha amici. Preso di mira da alcuni coetanei che hanno scoperto la sua omosessualità, subisce in silenzio il loro odio e pregiudizio. Unico suo conforto è sua madre, Lina, che lo sostiene anche quando si deve scontrare con il carattere burbero e violento del suo compagno, Franco, proprietario dell’officina dove lavora il ragazzo.

La vita di Gianni cambia quando incontra Nino, un sedicenne intraprendente e puro. In sella ai rispettivi motorini, i due si scontrano accidentalmente ma quell’incidente fa nascere un’amicizia profonda che senza imbarazzo si trasforma in amore quando i due cominciano a lavorare insieme come fuochista per la ditta di Alfredo, il padre di Nino, che porta avanti una tradizione antica di famiglia, i fuochi d’artificio nelle feste di paese. Un amore così forte però non si può tenere nascosto. La voglia di stare insieme aumenta il rischio di essere scoperti. Se Gianni e Nino riescono a sopravvivere a un’aggressione omofoba da parte di un gruppo di estranei, soccombono quando vengono scoperti dalle rispettive famiglie. È proprio Lina a decidere il loro destino, convinta di fare il bene di entrambi. Separati con la forza, Gianni e Nino sono pronti a sfidare tutto e tutti perché convinti che il loro amore può sconfiggere anche la morte. Nel 1982 l’Italia vince i mondiali ma non si accorge che due ragazzi sono stati uccisi dal pregiudizio e insabbiati dall’indifferenza proprio da quel paese che esulta per la coppa del mondo!